L’operazione con cui una società, priva di certificati Agrim, si rivolge a un operatore che acquista la merce da un fornitore extra Ue, le cede all’estero a un terzo che la immette nel mercato dell’Unione con la propria licenza, rigirandola poi alla prima società, non è un’operazione sempre elusiva, ma un’operazione da esaminare caso per caso.

Lo ha detto la Corte di Cassazione (sentenza 4936/2019) secondo cui spetta al “giudice nazionale verificare in concreto che detto meccanismo non si connoti come abuso del diritto”. Nel caso sottoposto all’attenzione dei Supremi Giudici, la società che aveva importato la merce aveva fruito di un dazio agevolato per importo superiore a quello previsto dal certificato di importazione. Per tale ragione l’Agenzia delle Dogane aveva intravisto nell’operazione, valutata nel suo complesso, la fattispecie dell’abuso del diritto. L’esame, per la Corte, va invece fatto con riferimento al caso concreto, valutando sia l’elemento soggettivo che quello oggettivo (v. Cassazione n. 2067/2017).

Per il primo aspetto, bisogna valutare se l’acquirente finale abbia o meno conseguito un indebito vantaggio e se vi sia o meno una valida giustificazione economica per le operazioni e quindi un guadagno effettivo derivante dalla vendita della merce. Sotto l’aspetto oggettivo invece, si deve vedere se i titoli Agrim siano o meno stati richiesti agli importatori e se questi non siano soggetti fittizi, quindi che si tratti di soggetti che effettivamente abbiano tratto un vantaggio economico dalle rivendita della merce o che comunque si siano assunti il cd. rischio d’impresa, derivante dall’incertezza economica dell’esito delle operazioni.

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